Il tour dei Crémant
Racconti dalle delegazioni
30 ottobre 2023

Nicola Bonera, durante il consueto appuntamento estivo Taste Camp, ci ha guidato in una appassionata e intrigante degustazione alla cieca di otto Crémant, una per ogni denominazione francese.
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Il Crémant, spumante che ha un prezzo di ingresso piuttosto popolare, si esprime attraverso otto AOC francesi e una sita in Lussemburgo. Dal 2009, il marchio Crémant è stato liberalizzato anche per quelle denominazioni di origine europea che rispettino alcuni parametri di legge (rese inferiori ai 150 q/ha, massimo 50 g/L di residuo zuccherino, solfiti inferiori ai 175 mg/L, raccolta manuale, sosta di minimo 9 mesi sui lieviti e commercializzazione a partire dai 12 mesi dal tiraggio), purché il termine Crémant sia menzionato nel disciplinare. I produttori delle otto AOC rivendicano circa 11.500-12.000 ha di vigna, un potenziale produttivo attorno ai 100 milioni di bottiglie che, nel 2018, si è tradotta in una vendita di poco inferiore agli 85 milioni.
In termini di produzione, le AOC esprimono i seguenti valori: Crémant d’Alsace, 34 milioni di bottiglie; Crémant de Bordeaux, 7 milioni; Crémant de Bourgogne, 19 milioni; Crémant du Jura, 2 milioni e 300.000 bottiglie; Crémant de Limoux, 5 milioni e mezzo; la Crémant de la Loire, 17 milioni; Crémant de Die, 200.000; Crémant di Savoia 350.000.
I vitigni più utilizzati sono: chardonnay, pinot noir, chenin blanc - dal carattere un po’ vegetale poiché imparentato con il sauvignon blanc -, jacquère e altesse - vitigni rari della Savoia che donano ai vini freschezza, fragranza e nervosismo -, clairette - con le sue note fresche e vegetali, ma dotata di buona struttura, che viene utilizzata anche nell’AOC Clairette de Die e che, insieme alle due AOC Blanquette de Limoux e Gaillac, tutela la produzione di spumanti elaborati con tecnica ancestrale -, aligoté - vitigno che produce vini fruttati e che forse è il meno adatto alla spumantizzazione -, muscat blanc à pétit grain - con il suo tipico corredo aromatico -, savagnin - geneticamente molto simile al traminer, e conosciuto principalmente per le versioni “sur voile” dello Jura -, pinot blanc - dai caratteri sottili, con una “forza” fruttata che risulta di poco superiore rispetto a quella dello chardonnay, ma con una componente di maturità del frutto meno marcata -, sauvignon, sémillon e colombard, quest’ultimo usato, di solito, per la distillazione.
Per aiutarci nel riconoscimento dei vini, serviti rigorosamente alla cieca, abbiamo tenuto conto di alcuni dati:
- vitigni utilizzati e loro percentuali;
- tempo di permanenza sui lieviti, variabile da 12 a 36 mesi;
- residuo zuccherino;
- titolo alcolometrico volumico, segnalato in etichetta, che è di 12-12,5% vol., tranne per il Crémant de Bordeaux che vale 13% vol.;
- alcuni vini sono dichiarati BIO sull’etichetta, alcuni lo sono di fatto ma non sono dichiarati, uno solo dichiara il marchio di certificazione biodinamica Demeter; in realtà quasi tutti questi seguono i precetti della biodinamica e in alcuni casi l’aggiunta di solfiti viene fatta solo ed esclusivamente dopo la sboccatura;
- i Crémant de Die dichiara di essere sotto le 5 atm;
- nessuno dei produttori afferma di utilizzare il legno.
Vini in degustazione
La degustazione – prima parte
Dal naso, ci aspetteremmo una sosta sui lieviti di 12-18 mesi piuttosto che di 24-36, per la prevalenza di note floreali. In bocca il vino parrebbe dosato e non sembra siano stati utilizzati vitigni aromatici come il moscato o il sauvignon, ma non si percepisce nemmeno quella confidenza che trasmettono gli spumanti a base chardonnay e pinot noir; sembrerebbe a base di uva tutta bianca. Dopo sosta nel bicchiere, però, il naso pare proporci dei profumi che lo rendono distintivo e potrebbero farci pensare allo chenin o al sauvignon.
Nell’insieme, non possiamo sapere se per la capacità della spumantistica o per il luogo di provenienza, è un vino con una tensione maggiore rispetto al primo. Anche qui, non sembra siano stati utilizzati vitigni aromatici. Le note un po’ più grezze e vegetali potrebbero far pensare all’utilizzo anche di uva nera. Il dosaggio potrebbe essere basso (un extra-brut?).
Il colore più carico potrebbe far pensare all’utilizzo di uve a bacca scura, a una maggiore maturità sui lieviti, a delle uve raccolte più tardivamente, o all’assemblaggio di più annate.
La presenza al naso di composti solforati potrebbe indirizzare verso quei vitigni, tipo il sauvignon e lo chenin blanc, che hanno, nel loro corredo odoroso, soprattutto se raccolti un po’ precocemente, delle note solforate un po’ evidenti. L’assaggio potrebbe far pensare alla riconoscibilità di un vitigno, più che a una lunga permanenza sui lieviti. Sembrerebbe dosato, sicuramente più del secondo.
Le note eteree potrebbero essere dovute all’ossidazione, cioè al tempo trascorso sui lieviti, ma nessuno dei vini in degustazione ha una permanenza sui lieviti tale da manifestare nel vino delle note eteree; potrebbero dipendere da un assemblaggio verticale, cioè dall’unione di annate più vecchie oppure, in caso di assenza di controlli sulle pratiche produttive, da fermentazioni spontanee, uso di lieviti indigeni, scarso controllo della temperatura.
C’è talmente tanta freschezza, che il vino potrebbe essere linfatico per il clima del luogo, o per la presenza di uva bianca non troppo matura, o per l’apporto di uva rossa, anch’essa non troppo matura, che dona note verdi piuttosto marcate. Anche il secondo vino aveva una nota vegetale al naso. Non è assolutamente facile ipotizzare il tempo di permanenza sui lieviti, perché, in bocca, il vino sembra ancora un “vin claire”, mentre il naso più evoluto, potrebbe far pensare a una permanenza sui lieviti più lunga. È difficile stabilire il residuo zuccherino perché il vino è dotato di una grandissima acidità, che potrebbe mascherare la presenza di zucchero.
Spezza la degustazione dei vini, il piatto in accompagnamento proposto dallo Chef Moris La Greca che, essendo molto variopinto e contemplando l’affumicato, la frutta a guscio, le erbette con la loro parte linfatica e amaricante, il saporito/salino della salsa tonnata e del prosciutto, è risultato molto difficile da abbinare ai vini. Nicola ci ha suggerito di utilizzare vini più morbidi e remissivi, tipo il primo, ma anche il terzo, che lasciano il palcoscenico ai cibi, ma poi puliscono e resettano la bocca.
La degustazione – seconda parte

Il naso ci fa pensare a un vino prodotto in assenza di controllo durante la vinificazione, tipo un vino frizzante “col fondo”, piuttosto che a un metodo classico e ci fa pensare a una permanenza sui lieviti molto ridotta. Parrebbe dosato.
Il colore potrebbe far pensare alla presenza di uva nera e/o di annate vecchie nell’assemblaggio. Il fatto che sia un vino trasversale ci fa pensare che possa essere gradito e acquistato da molti consumatori e quindi prodotto in grande quantità, come avviene, ad esempio in Alsazia. È simile al primo vino, ma un po’ più voluminoso e spallato. Sembra dosato.
Il vino, oltre ad avere una bella nota agrumata fresca, ha anche sentori di noce e di sherry fino cioè, manifesta un‘equidistanza tra le note fresche e quelle di un’evoluzione abbastanza importante. Questa equidistanza è di solito presente negli assemblaggi verticali e non nei millesimati. Sembrerebbe inoltre avere un dosaggio assente o basso.
Per le caratteristiche del vino, è difficile capire il tempo di permanenza sui lieviti, ma anche la tipologia del vitigno e la zona di provenienza.
Terminata la degustazione, basandoci sulle nostre riflessioni, abbiamo tentato di attribuire i vini degustati alle varie bottiglie, impresa rivelatasi alquanto ardua. Questo ci insegna una cosa importante: la seconda fermentazione è un micro-mondo che diventa, a livello sensoriale, un macro-mondo, perché trasforma letteralmente quello che è il concetto di terroir e le caratteristiche del vino base.
In conclusione, ecco l’ordine di servizio dei vini:
1) Crémant de Savoie
2) Crémant d’Alsace
3) Crémant de Loire
4) Crémant de Limoux
5) Crémant de Jura
6) Crémant de Bordeaux
7) Crémant de Bourgogne
8) Crémant de Die