Trebbiano d’Abruzzo Valentini. Verticale viscerale

Enozioni a Milano 2025
di Florence Reydellet
19 marzo 2025
Con la guida esperta di Massimo Zanichelli, la degustazione di sei annate di un’etichetta fra le più iconiche d’Italia: il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini. Una verticale per celebrare il genius loci di Loreto Aprutino, comune della provincia di Pescara.
In molti sanno che Valentini è cognome di riferimento per l’Abruzzo e l’intero movimento vitivinicolo italiano. In pochi, tuttavia, hanno avuto il privilegio di degustare verticali dell’etichetta che lo ha rivelato anche fuori d’Italia, il Trebbiano d’Abruzzo. In occasione dell’edizione 2025 di “Enozioni a Milano”, la bella tre giorni di AIS Lombardia, un piccolo gruppo di cultori della materia ha avuto l’occasione ghiotta di confrontarsi, in un viaggio lungo 33 anni, con sei calici di questo vino iconografico. Un appuntamento rarissimo - per chiunque operi in questo settore - guidato da Massimo Zanichelli, raffinata penna enoica, degustatore professionista e documentarista.
Nobilitazione del vino artigianale
Possono suscitare apprezzamento o disapprovazione, ma di certo i vini dell’azienda a conduzione famigliare Valentini non lasciano insensibili, e appartengono oggi alle grandi icone del mondo del vino, pur provenendo dall’appartato Abruzzo - da Loreto Aprutino per l’esattezza -, in provincia di Pescara. «I Valentini hanno una storia diuturna, in cui da latifondisti diventano progressivamente produttori - come spesso accade - di olio, grano e, infine, negli anni Cinquanta dello scorso secolo, di vino», spiega Massimo Zanichelli. A dare un contributo decisivo all’avventura enoica è stato Edoardo Valentini che, in tempi non sospetti, fu il primo a credere nell’Abruzzo vitivinicolo. L’approccio dietro alle sue tecniche produttive era quello di creare vini artigianali che non rincorressero il mercato focalizzandosi, in particolare, su tre vini: Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano. Insomma, una rivoluzione a tutto tondo; un significativo cambio culturale nel fare impresa vitivinicola in un contesto, che in quegli anni, era perlopiù fatto di un consumo “emorragico” di vini industriali. Per molti il cambio di paradigma era da scartare ma, in realtà, si è invece rivelato essere un ottimo asso da giocare al tavolo degli affari, dal momento che i vini - fuori dal tempo -, si sottraggono a qualsiasi discorso riguardante le tendenze di consumo. «Non solo Edoardo desiderava creare vini manufatti, ma era anche volenteroso di alzare l’asticella della qualità e della percezione del territorio. Ha compiuto così passi decisivi nella transizione da una dimensione artigianale dai tratti rustici a una dal portamento garbato» continua Massimo. Una signorilità che trova chiara testimonianza con la sua punta di diamante, il Trebbiano d’Abruzzo DOC, il quale ha più marcato questa transizione.
La “ricetta” Valentini: scelte pulite in vigna e in cantina
A dirla tutta, gesti consapevoli e rispettosi sono il mantra della famiglia. A cominciare dalla vigna, dove il lavoro manuale si avvale di tecniche orientate al biologico (con l’uso, ad es., di poltiglia bordolese, etc.) aggiungendo a questo una filosofia produttiva che sia il meno interventista possibile in cantina. Nulla di esogeno deve invadere e uniformare il prodotto finale e, dunque: nessun controllo delle temperature, no alle stabilizzazioni e alle chiarifiche, nessun impiego di mosto concentrato rettificato e così a elencare. «E se il vino finale non rientra negli standard aziendali, non lo si imbottiglia e lo si vende come sfuso d’annata».
Dalla scomparsa di Edoardo nel 2006, è Francesco Paolo a seguire le orme del padre e a gestire i 65 ettari complessivi di proprietà producendo, senza mai tradire l’approccio di fondo, le circa 40.000 bottiglie annue. La filosofia Valentini ha avuto un impatto tale da influenzare e attrarre seguaci anche tra le nuove generazioni che cercano oggi, a loro volta, di aggiungere un mattoncino personale alla valorizzazione del territorio.
La degustazione
L’ordine della verticale ha seguito un approccio classico, procedendo dalle annate più vecchie a quelle più giovani, il che non ha poi impedito di fare confronti incrociati. Una premessa: i primi tre calici in degustazione (annate 1987, 1997, 2001) contengono campioni vinificati da Edoardo, mentre gli altri (riferiti alle vendemmie 2012, 2015, 2020) esprimono il frutto del lavoro di Francesco Paolo.
La degustazione ha indubbiamente dimostrato quanto il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini sia in grado di reggere lo scorrere degli anni: nessun vino si è mostrato stanco né sfibrato. Si è notato che le versioni di Francesco Paolo, rispetto a quelle di Edoardo, guadagnano in nitore e indiscussa finezza, probabilmente merito della maggiore perizia tecnica. Ciò che colpisce, poi, sono vitalità e carattere, a onta di annate molto diverse fra di loro e nonostante gli effetti del cambiamento climatico in atto che dovrebbe compromettere in modo significativo le caratteristiche intrinseche dei vini. A creare ambasce sono, in realtà, numerose incognite come la differenza tra la maturazione tecnologica, influenzata dal calore, e quella fenolica, legata alla luce, ma non solo. Interessante notare, a tal proposito, come le vendemmie di Valentini siano una risorsa per monitorare le bizze del meteo e il cambiamento climatico, sottolinea Massimo. «Prima degli anni Ottanta, la raccolta del trebbiano avveniva a metà ottobre senza variazioni significative. Dagli anni Novanta in poi, le vendemmie sono state anticipate drasticamente, molto probabilmente a causa del riscaldamento globale».
Trebbiano d’Abruzzo DOC 1987
Vendemmia: 10 ottobre
Dorato mirabilmente composto. Olfatto in principio ridotto; poi arzillo e di nobile portamento, fatto di nepitella, foglia di limone, mandorla e paglia: sentori che, col passare dei minuti, fanno da corollario a sfumature più crepuscolari di sottobosco e caffè. Gagliarda la consistenza tattile, priva di qualsiasi orpello, dalla spinta acida saettante. Chiusura più espressiva che lunga, ma di una salinità pressoché iodata. Un vino che premia la pazienza.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 1997
Vendemmia: fine settembre
Tende al ramato e l’annata calda lo ha colorato di più rispetto al precedente. Detiene un patrimonio avvolgente e ricco - mallo di noce in primis -, venato di sfumature erbacee, con un accenno di tabacco biondo in fondo. Materia glicerica e voluminosa al sorso, eppur pimpante quanto a freschezza. Chiusura di media estensione, su echi di radice.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 2001
Vendemmia: 17 settembre
Dorato carico, lucente, da manuale. È il Trebbiano più sfaccettato ed emozionante del sestetto: naso disciplinato e pulitissimo, in cui si coglie l’elemento agrumato (cedro) pervaso da sottili tracce di cioccolato bianco, foglie di tè, elicriso e tuberi. Assaggio dall’incedere scattante, prodigo di acidità e «scintillante mineralità», per dirla con Massimo. Il finale, particolarmente tenace, è dominato da percezioni agrumate e da una peculiare nota salina. Un insieme che rende lieti con l’idea che il tempo possa ancora riservare sorprese in positivo.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 2012
Vendemmia: 14 settembre
Veste dorata con inclusioni ramate. Vino più introverso che esordisce su erbe al limone e glicine per progredire verso note crepuscolari di caffè e sottobosco, il tutto sopportato da una volatile appena accennata. Pieno di succo e calibrato nel sapore, è caratterizzato da cospicua spalla acida, mentre l’allungo non molla la presa, pregno degli aromi crepuscolari di cui si è detto. Andrà ancora crescendo negli anni.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 2015
Vendemmia: 12 settembre
Dorato. Il cambio stilistico generazionale qui, di certo, non passa inosservato. Il naso propone, per così dire, un effetto surround: il vino profuma di mandorla e spezie dolci, biancospino e agrumi, iodio e salvia. Bocca precisa ed elettrica che sembra essere percorsa da corrente fresca. Chiusura nitida quanto espressiva, che distilla iodio. Lo assaggiamo in età fanciullesca; certe sono le prospettive di evoluzione.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 2020
Vendemmia: fine settembre/inizio ottobre
Paglierino pieno di media intensità. Olfatto garbato, senza alcuna deviazione: si esprime con note di erbe limonate, ginestra e cedro, che accompagnano suggestioni speziate. A un attacco mediamente avvolgente - coerente con l’annata - segue poi una progressione all’insegna della salinità, aspetto che, da queste parti, non dispiace cogliere nei bianchi. Abbisogna, ovviamente, di ulteriore riposo in bottiglia, ma potrebbe riservare non poche sorprese, puntando a posizione di vertice.