Il fiore di Correggia

Il fiore di Correggia

L'aromatico italiano
di Massimo Zanichelli
11 aprile 2025

Famoso per i suoi vini dolci frizzanti, il brachetto è in realtà un vitigno versatile, capace di risultare espressivo anche nelle più rare versioni secche: l’Anthos della famiglia Correggia ne è una dimostrazione più che eloquente.

Chi parla più oggi del brachetto, specie quello d’Acqui? A differenza del fratello maggiore, l’Asti, non è mai riuscito a rompere il muro dello scetticismo e arrivare alle soglie del successo, complice anche una produzione numericamente e qualitativamente meno competitiva. Non di sole bollicine dolci si nutre questa varietà piemontese, di cui ancora incerte sono le origini ma che risulta radicata da secoli – addirittura dall’epoca dei Romani – tra le terre limoso-sabbiose di Acqui Terme e più in generale tra le colline del Monferrato alessandrino e astigiano. 

Ebbene, questo purosangue piemontese ha dalla metà degli anni Ottanta (anche se in pochi se ne sono accorti) un vino secco di assoluto riferimento nel Roero – riva sinistra del Tanaro, provincia di Cuneo – e lo si deve alla visione pionieristica di Matteo Correggia, vignaiolo di talento strappato prematuramente alla vita all’età di 39 anni il 15 giugno del 2001 (me lo ricordo perché ero a Neive da Rino Sottimano: fu lui a comunicarmi la ferale notizia con lo sguardo chino per terra). 

Il vino si chiama Anthos, “fiore” in greco, e Matteo lo ha prodotto per la prima volta nel 1985 da una piccola vigna di mezzo ettaro a Canale d’Alba, dove ha sede la cantina. Nasce da un terreno sabbioso, come molti nel Roero, da una vendemmia manuale, da una macerazione sulle bucce di circa una settimana e da quattro mesi di maturazione in acciaio.

È sintomatico che nessuno della famiglia Correggia (Ornella con i figli Giovanni e Brigitta) e dei suoi collaboratori, nella bella pagina loro dedicata sul sito aziendale, indichi questo vino tra i propri favoriti, nonostante sia uno dei più tradizionali della cantina (sebbene non così rappresentativo come La Val dei Preti, Marun o Ròche d’Ampsèj). Per quanto mi riguarda, ne sono rimasto avvinto fin dalla prima volta che l’ho assaggiato, agli inizi di questo millennio.

Il 2024 ha colore cerasuolo, quasi corallo, un olfatto fragrante e sfizioso di fiori rossi (rose, garofani, peonie), un palato succoso, longilineo, scattante, con punta finale di tannino che conferisce sapore e un lungo finale di rosa, fragola e pepe.

Per chi pensasse che anche il Brachetto secco, alla stregua degli altri aromatici, vada bevuto solo in gioventù, magari entro un anno, massimo due, dalla vendemmia (quando ci liberemo da certi luoghi comuni?), ecco a dimostrazione contraria un 2018 dalle bordature granato sul manto cerasuolo, dal bouquet trasfigurato di erbe officinali, di menta, di genziana, di eucalipto e poi di sottobosco, dal palato pieno e pepato, succoso e tonico, dal finale di ginger ed erbe aromatiche.